forse

sabato 5 maggio 2018

Scatti di solitudine

Nei primi anni '90 c'erano quelli che fingevano di conversare al cellulare, di solito per sfoggiarlo quale status symbol.
Oggi disponiamo di più di un apparecchio per persona, eppure c'è ancora chi solleva questioni sul profugo munito di smtp: rivolgendo l'attenzione al dito invece che alla Luna non posso che dedurre appartenere a persona poco incline al ragionamento logico.
Trovo che l'abusato mezzo di comunicazione sia diventato il simbolo della solitudine, delle conversazioni idiote e della comunicazione invadente... analisi alla portata di chiunque.
Non ho mai resistito al gioco di immaginare storie costruite sullo spaccato di vita offerto da una finestra aperta illuminata la sera: pareti con quadretti, poster, librerie, pensili di cucine e frammenti di vite di gente sconosciuta.
Lo stesso mi succede con i selfie, sono stata sul punto di commentare "che belle piastrelle" al selfie di una tizia che da tempo posta la propria immagine sempre uguale come uguali sono le espressioni di chi sperimenta un rapporto autistico con un obiettivo fotografico.
Fa un po' ridere scoprire che la maggior parte di questi autoscatti hanno delle piastrelle come sfondo e capisco di non essere l'unica a compiacermi del mio aspetto in bagno, dopo trucco e parrucco prima di "sciuparmi".
Come finestre aperte nella notte adesso osservo i selfie: bagni, camere d'albergo, camerini di prova, corridoi e sbircio sullo sfondo pezzi di caloriferi, borse, letti e cose di vita quotidiana e mai nemmeno un dannato gatto: solitudine.
Personalmente trovo che le mie foto più belle sono gli scatti delle persone che amo, in assoluto i miei migliori sorrisi e le espressioni più belle sono opera di mia figlia.
Il consiglio non richiesto del giorno è: se volete apparire belli dovreste sorridere a qualcuno che non siete voi.


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